Accade di frequente che il lavoratore dipendente che chieda il trasferimento ad altra sede per potersi ricongiungere al proprio convivente, si veda opporre il rifiuto del datore di lavoro. Va detto subito che nel silenzio della legge Legge 76 del 20.05.2016 c.d legge Cirinnà, il fondamentale diritto all’unità della famiglia, presupposto del ricongiungimento familiare che si esprime nella garanzia della convivenza del nucleo familiare, può essere invocato anche dai conviventi di fatto. Di sicuro interesse sulla questione è la sentenza n. 321 del 10 maggio 2019 con cui il Tar di Reggio Calabria, richiamando principi ampiamente affermati dalla Corte Costituzionale in numerose sentenze nonché le indicazioni provenienti dalle fonti sovranazionali ed in particolare dalla Carta di Nizza (o Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) e dalla Convenzione Europea dei Diritti Dell’uomo (CEDU), ha accolto il ricorso di un Carabiniere, affermando che la convivenza more uxorio, pur nel silenzio della legge Cirinnà deve essere necessariamente ricompresa nel novero delle situazioni che legittimano il ricongiungimento familiare al pari del rapporto di coniugio, perché solo una tale interpretazione può essere conforme ai principi costituzionali.
Osserva il Collegio, infatti come la Corte Costituzionale ancor prima della legge 20.05.2016 c.d Legge Cirinnà che ha equiparato il convivente more uxorio al coniuge sotto molteplici profili, aveva evidenziato la necessità di tutelare i diritti individuali dell’uomo in tutte le formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, specificando che“per formazione sociale” deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione”(Corte Costituzionale, 15 aprile 2010, n. 138), ponendo così le basi per il riconoscimento della rilevanza giuridica della famiglia di fatto. Anche le fonti sovranazionali ed in particolare La Carta di Nizza e la Convenzione Europea Dei Diritti Dell’Uomo, hanno da tempo chiarito che la nozione di <<vita privata e familiare>>, di cui all’art.8 della stessa CEDU, include tutte le unioni, anche quelle di fatto ed in generale, i legami esistenti tra i componenti del gruppo designato come famiglia naturale. Il Collegio muove i passi dalla considerazione della necessità di prendere atto dell’evoluzione del concetto di famiglia, dell’avvenuto riconoscimento della convivenza stabile quale fonte di diritti ed effetti giuridici rilevanti operato dalla legge Cirinnà – che ha recepito, in alcuni casi, le sollecitazioni della giurisprudenza ed ha equiparato il convivente more uxorio al coniuge sotto molteplici profili (per esempio, quanto all’assistenza ospedaliera, ai poteri di rappresentanza conferibili in caso di malattia e incapacità di intendere e di volere, in ordine al subentro nel contratto di locazione della casa di residenza intestato al convivente deceduto) – e giunge alla conclusione che il ricongiungimento familiare è lo strumento attraverso il quale si rende effettivo il diritto all’unità della famiglia che si esprime nella garanzia della convivenza del nucleo familiare e costituisce espressione di un diritto fondamentale della persona umanacosì come già precisato dalla Consulta nella sentenza n. 183 del 30.05.2018. Il citato diritto all’unità della famiglia, garantito dalla convivenza del nucleo familiare, deve poter essere invocato, pertanto, non soltanto dai coniugi e dai soggetti uniti civilmente, come sostenuto, nel caso di specie, dalla difesa del Ministero, ma anche dai conviventi di fatto, ai quali, dunque, deve essere esteso il diritto a chiedere il ricongiungimento familiare. Una diversa interpretazione, conclude il Collegio, sarebbe da ritenersi non conforme ai principi costituzionali.
Si riporta lo stralcio della motivazione della sentenza esaminata TAR di Reggio Calabria sentenza n. 321 del 2019
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La questione verte sull’interpretazione da dare all’istituto del ricongiungimento familiare in ambito militare con riferimento, in particolare, alla possibilità di applicare tale istituto ai conviventi more uxorio.
Osserva il Collegio come la Corte Costituzionale abbia ripetutamente chiarito come nessuna norma costituzionale o principio fondamentale possa cancellare le ontologiche differenze tra la famiglia di fatto e quella fondata sul matrimonio, legate ad una scelta delle stesse parti interessate (quella cioè di sposarsi o meno). Cionondimeno, la stessa Consulta ha evidenziato la necessità di tutelare i diritti individuali dell’uomo in tutte le formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, specificando che “per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione” (Corte Costituzionale, 15 aprile 2010, n. 138), ponendo così le basi per il riconoscimento della rilevanza giuridica della famiglia di fatto.
6.2. Tale riconoscimento risponde, per altro, anche alle indicazioni provenienti dalle fonti sovranazionali, in particolare dalla Carta di Nizza (o Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) e dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU), che afferma il principio di libertà individuale nella scelta del modello familiare, di talché la Corte Europea dei diritti dell’uomo si è da tempo premurata di chiarire che la nozione di «vita privata e familiare», contenuta nell’art. 8, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo includa, ormai, non solo le relazioni consacrate dal matrimonio, ma anche le unioni di fatto nonché, in generale, i legami esistenti tra i componenti del gruppo designato come famiglia naturale (v., tra le tante, sent. 27 ottobre 1994, caso Kroon).
6.3. Si deve, dunque, dare atto dell’evoluzione del concetto di famiglia, comprensivo anche delle unioni di fatto tra individui (anche dello stesso sesso), e della progressiva e conseguente valorizzazione della convivenza stabile quale fonte di effetti giuridici rilevanti.
Tale evoluzione, a livello di produzione normativa, è culminata nella legge 20 maggio 2016 n. 76.
La prima parte della legge (art. 1, co. 1 – 35) è dedicata alla disciplina delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, la seconda (art. 1, co. 36 – 68) alla convivenza di fatto tra «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile» (comma 36); la legge, al comma 37, prevede altresì che per l’accertamento della stabile convivenza si faccia riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’art. 4 ed alla lettera b) del comma 1 dell’art. 13 del regolamento di cui al DPR 30.05.1989 n. 223.
La citata normativa, recependo in alcuni casi le sollecitazioni della giurisprudenza, equipara il convivente more uxorio al coniuge sotto molteplici profili (per esempio, quanto all’assistenza ospedaliera, ai poteri di rappresentanza conferibili in caso di malattia e incapacità di intendere e di volere, in ordine al subentro nel contratto di locazione della casa di residenza intestato al convivente deceduto).
7. Venendo al caso specifico dell’istituto del ricongiungimento familiare, va ricordato come l’art. 398 del Regolamento Generale dell’Arma dei Carabinieri preveda che “i sottoufficiali, gli appuntati e i carabinieri che aspirano, invece, al trasferimento – per fondati e comprovati motivi – nell’ambito delle regioni, delle Brigate e della Divisioni o fuori di detti comandi, possono, indipendentemente dal periodo di permanenza ad uno dei suddetti reparti o comandi, presentare istanza, da inoltrare tramite gerarchico, ai comandi competenti a decidere“.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 183 del 30 maggio 2008, ha evidenziato che “il ricongiungimento è, dunque, diretto a rendere effettivo il diritto all’unità della famiglia, che, come questa Corte ha riconosciuto, si esprime nella garanzia della convivenza del nucleo familiare e costituisce espressione di un diritto fondamentale della persona umana (sentenze n. 113 del 1998 e n. 28 del 1995). Tale valore costituzionale può giustificare una parziale compressione delle esigenze di alcune amministrazioni (nella specie, quelle di volta in volta tenute a concedere il comando o distacco di propri dipendenti per consentirne il ricongiungimento con il coniuge), purché nell’ambito di un ragionevole bilanciamento dei diversi valori contrapposti, operato dal legislatore.”
7.1. Il tema è, dunque, se il citato diritto all’unità della famiglia, che si esprime nella garanzia della convivenza del nucleo familiare, nel silenzio della legge n. 76/2016, possa essere invocato solamente dai coniugi e dai soggetti uniti civilmente, come sostiene la difesa del Ministero, ovvero se non debba ritenersi esteso anche ai conviventi di fatto.
Il Collegio ritiene che solo questa ultima interpretazione sia conforme ai principi costituzionali. La Consulta ha, infatti, sottolineato più volte (da ultimo, con la sentenza n. 213 del 23.09.2016) che la distinta considerazione costituzionale della convivenza e del rapporto coniugale, non esclude la comparabilità delle discipline riguardanti aspetti particolari dell’una e dell’altro che possano presentare analogie, ai fini del controllo di ragionevolezza a norma dell’art. 3 della Costituzione.
In questo caso l’elemento unificante tra le due situazioni è dato proprio dall’esigenza di tutelare il diritto all’unità familiare, nella sua accezione più ampia, collocabile, come si disse, tra i diritti inviolabili dell’uomo ai sensi dell’art. 2 della Costituzione. Di talché, l’esclusione della convivenza more uxorio – stabile ed accertata a mente della ripetuta legge 20 maggio 2016, n. 76 – dal novero delle situazioni che legittimano il ricongiungimento familiare, appare irragionevole.
8. È fondata, da ultimo, anche la dedotta censura afferente al contrasto tra il gravato provvedimento e la circolare del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri prot. 201/1-1 del 27 luglio 2005 che, mai abrogata dalle successive disposizioni, esplicitamente, al punto 2 stabilisce che “al militare dell’Arma “convivente” devono essere applicate le norme regolamentari previste per l’ammogliato, solo se egli possa dimostrare una convivenza more uxorio”. Alla luce della citata disposizione, non può che concludersi per l’applicabilità del ripetuto art. 398 del Regolamento Generale dell’Arma anche ai rapporti di convivenza. Deve convenirsi, dunque, con la difesa del ricorrente che la circolare n. 944001-1/T-16/Pers. Mar. del 9.2.2010, non vieta esplicitamente ai conviventi la possibilità di presentare domanda di ricongiungimento, come pure avrebbe dovuto, se fosse fondata la tesi dell’amministrazione, stante il chiarissimo tenore del precedente del 2005. Non sembra, per altro, logico pensare che il Comando Generale dell’Arma conscio, sin dal 2005, del fatto che la convivenza possa essere comparata per alcuni fini giuridici al matrimonio sia voluto tornare sui propri passi, in presenza dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale descritta.
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